Lunga la strada della parità se l’emozione va messa da parte

Lunga la strada della parità se l’emozione va messa da parte

Non conoscevo, prima di questo libro di Ritanna Armeni, le Nachthexen, le streghe della notte. Un reggimento di sole donne (aviatrici, armiere, meccaniche), che durante la Grande guerra patriottica – come in Russia si chiama la seconda guerra mondiale – ha messo a dura prova l’esercito tedesco.

Volando su piccoli e veloci Polikarpov, colpivano il nemico di notte, così rapide e poco identificabili da essere battezzate dagli stupiti soldati della Wehrmacht, appunto, “streghe delle notte”.

Combattono dal ’41 fino alla fine della guerra e la loro storia è ricostruita dalla giornalista e scrittrice Ritanna Armeni in questo libro, attraverso le parole dell’ultima “strega”, Irina Rakobolskaja.
Una storia difficile da raccontare, come ammette l’autrice proprio nelle prime pagine del libro, che propende poi per una cronaca, in cui alle parole di Irina si alternano pensieri, ricerche storiche e il racconto delle loro chiacchierate. Una storia bellissima, che merita di essere raccontata perché testimonia un’esperienza unica ma che, seppure per un periodo breve, ha sancito anche nel regime sovietico la parità tra uomo e donna.
La forza di questa vicenda e l’emozione arrivano anche da una prosa che di romanzesco ha, per scelta, poco, ma che a mio avviso non avrebbe guastato. Per sentire vibrare la vita e le emozioni di queste donne il lettore deve concentrarsi sui fatti riportati e darne una lettura di secondo livello. Eppure credo che la scelta della cronaca a discapito della fiaba, a partire dal titolo del libro “Una donna può tutto”, affermato con una certa supponenza, sia proprio legato all’obiettivo di questa testimonianza: ripulire la vicenda da ogni possibile fronzolo romanzesco, da ogni possibile accusa di fiaba femminista per darle nitidezza e permetterle di viaggiare, sfuggendo al pericolo dell’oblio.
L’oblio che ha già offuscato la particolarità del reggimento delle streghe, ricordate nel museo dell’Armata Rossa in una piccola teca, senza neppure una menzione al fatto che fosse una compagnia di sole donne, comandate dell’eroica Marina Raskova. L’oblio che ha reso questa vicenda praticamente sconosciuta al grande pubblico europeo, se non per qualche saggio storico, a discapito, invece della retorica delle donne che “hanno fatto” la seconda guerra mondiale sostituendosi agli uomini nelle fabbriche e negli uffici pubblici.
Le “streghe delle notte”, al contrario, la guerra l’hanno fatta in cielo, in divise troppo grandi, adattate alla meglio, con i piedi fasciati in scarponi da uomo e senza paracadute nelle loro cabine per non togliere spazio alle bombe.
Sono donne che, alla fine della guerra, sono state onorate e fregiate ma allo stesso tempo invitate, dolcemente, ad abbandonare l’esercito per tornare alla “vita vera”. E assolvere così il compito più importante per lo stato socialista: essere madri, per rimpiazzare i tanti morti causati dal conflitto e, accanto a questo, lavorare per lo sviluppo della patria.

“… le donne – scrive sul finale la Armeni – possono essere tradite dalla Storia, anche quando ne hanno preso attivamente parte e hanno contributo a darle un corso”.

E allora per non tradire le Nachthexen è giusto provare a raccogliere la memoria, a cercare i motivi che le hanno spinte a combattere nelle immagini che si trovano sul web: nelle guance che si intuiscono rosse dalle foto in bianco e nero, nelle trecce strette dietro la nuca o nei capelli tagliati corti, senza troppa grazia, che sbucano dai berretti maschili, negli sguardi fieri e a volte un po’ increduli.
E forse, provare anche a immaginare un racconto più fiabesco e romanzato, perché essere costretti a scegliere una cronaca, per quanto netta, precisa e piacevole da leggere, è già un segno della discriminazione di cui ancora le donne che “fanno cose da uomini” devono subire. Come se l’emozione e il sogno che una vicenda così meriterebbe per essere immediatamente riconoscibile nella sua potenza, rischiassero di corromperla.
(Nella foto “Una donna può tutto”, Ritanna Armeni, Ponte alle Grazie)